I primi italiani che incontro dopo settimane mi confermano quanto il gap culturale, etico, e chi più ne ha più ne metta, possa essere di ampia portata anche all’interno dello stesso gruppo etnico. Altro che contadini indocinesi.
Ce li ho davanti a me, in aereo, in piedi nella piazzola qui davanti, nello spazioso A380 della Emirates.
Più coppie si stanno scambiando impressioni sulle rispettive vacanze, chi a Dubai chi in Thailandia, al mare. Quel genere di persone che io chiamo i “normativi”, coloro i quali seguono le norme, che sono ben introdotti nella maggioranza rumorosa, che non deviano dai percorsi prestabiliti, a loro agio nelle consuetudini e poco inclini all’introspezione. Un genere che provoca in me prurito alle braccia e alla testa, tipo rosolia o parassiti, a vostra scelta. Ma non consideratemi una snob, piuttosto una disadattata.
Già nel vestire: polo, bermuda e sneakers di ordinanza per gli uomini, jeans e magliettina rosa per le donne, abbronzatura impeccabile. Parlano di categorie di alberghi, di steak house dove hanno mangiato “ottima carne”, di grandi pescate, delle solite aragoste bollite vive (quanto costano poco lì e tanto qui), che bello stasera finalmente ci mangiamo una pizza e compagnia bella.
E io, come di consueto, penso che lì in mezzo – come a volte malauguratamente mi è successo – dovrei trattenere sbadigli degni di un ippopotamo e mi verrebbero occhi a capocchia di spillo, da extraterrestre. Cristo, che noia.
Sto cercando di immaginarli a cena seduti per terra a Savannakhet, a mangiare sticky rice rigorosamente con le mani, anzi con tre dita, ad ascoltare per un quarto d’ora le giaculatorie dell’anziano di casa per i rituali di ospitalità con legatura di fili bianchi ai polsi (da tenere rigorosamente per almeno tre giorni, pena la cattiva sorte). Oppure buttati sulle sponde del Mekong, con moschini, ragni grandi quanto un pancake,zanzare, e insettoni di vario tipo, a me del tutto indifferenti, avendo altro a cui pensare.
O con i piedi completamente immersi nel fango, l’onnipresente “mud”, a causa delle piogge stagionali, spesso mischiato inevitabilmente ad escrementi bovini, vai a vedere dove inizia uno e finisce l’altro, per arrivare a una caverna ex ospedale di fortuna ai tempi della guerra segreta USA-Laos. Alla faccia dei sandaletti di marca. I miei sandali Teva dalla trazione impeccabile sono andati dappertutto: pozzanghere, fango, fiumi, cascate, e infatti sembrano vecchi di dieci anni, e non di due mesi come sono.
No, non me li posso immaginare, fortunatamente. Ancora per un po’ credo eviteranno di andare in questo paese. Fortunatamente non c’è il mare in Laos ne’ altro che possa riscuotere il loro interesse. Insomma, se non vi riconoscete nel ritratto di questi ragazzi qui davanti a me, sbrigatevi, cercate di andare presto in Laos, lì non li troverete.
Troverete invece – soprattutto nella stagione delle piogge – pochi turisti se non nessuno, se non a Luang Prabang, e i laotiani, gente sorridente, amichevole, piacevolmente stupita di incontrarvi per strada e curiosa del nostro mondo. Qualche parola di lao può aiutare, molti di loro non parlano inglese, qualcuno tra i più anziani ancora ricorda un po’ di francese. Ci sono vari piccoli dizionari che possono dare una mano a entrare un po’ più in contatto con la gente del posto e loro ne saranno molto divertiti.
Gente con grande senso dell’umorismo, sempre pronti a fare battute e a sorridere di sé e degli altri, educati e composti da farci sembrare rozzi e rumorosi ad ogni passo.
Io ci tornerò, questa volta per le montagne del nord, con base a Luang Prabang, in visita alle etnie che non abbiamo potuto visitare in questo viaggio, ci sarebbe voluto tanto più tempo. Spero presto, prima che le cose cambino e nulla sia più come prima.
A Vientiane fino a dieci anni fa c’era solo un semaforo in tutta la città. Non ce n’era bisogno. Ora ne è piena, anche se il traffico è del tutto relativo. Fino a quando?
Sabaidee Laos, kwap chai lai lai!*
*trad: Ciao Laos, grazie infinite!